giovedì 3 marzo 2011

BARLETTA TRA IL XVIII E XIX SECOLO: IL PORTO E LA CITTA’ MURATA *

Testo di: Giuseppe Dibenedetto

Se si considera la po­polazione di Barletta nel periodo in esame, essa non si discosta da quella di altri centri vicini, come Andrìa o Corato, da cui anzi verrà progressi­vamente superata. Se si guarda alla sua impor­tanza amministrativa, essa è seconda per un lungo tratto a Trani, capitale della provincia fino al 1808 e sede dei tribunali di prima e seconda istanza.
C'è tuttavia nella storia di Barletta un sen­so di grandezza che, pur nelle vicende alterne, manca alle città vicine e, soprattutto, il perma­nere per secoli di una funzione commerciale insostituibile che, rafforzata dalla presenza del­le magistrature, ne fece la capitale del grano.
Sin dal XIII secolo Barletta e il grano di Puglia costituiscono un binomio inscindibile, ma ancora prima, nell'origine stessa della città, vi è un’identificazione completa tra la città e il suo porto. Protetta dagli Angiò, che con­tribuirono a dare quell'«aria grandiosa» che ancora nel Settecento le riconosceva Giuseppe Maria Galanti, cinta di mura, circondata da borghi popolosi, sede di nuclei di mercanti ve­neziani, ragusei, greci, la città divenne presto una delle più importanti del Regno. Sul sale e sul grano si fondò la sua prosperità interrotta dalle traversie delle guerre e delle epidemie, ma sempre riguadagnata, almeno fino alla gran­de peste del 1656. Dal grano di Barletta di­pendeva Napoli, allora una delle maggiori me­tropoli europee, con i suoi enormi problemi di approvvigionamento e, quindi, la stabilità del Regno. La città si organizzò intorno alla sua funzione commerciale: con strade larghe adatte al passaggio dei carri, un gran numero di depositi per la conservazione del grano, le fosse, magazzini e stabilimenti delle case com­merciali, le grandi fiere dell'Assunta, di S. Mar­tino e dell'Annunziata, il porto migliorato a più riprese da Carlo I e da Carlo II d'Angiò e da Ferrante d'Aragona. Intorno alla funzione commerciale si strutturò anche il particolare regime della città, che fu sempre demaniale, e la concessione degli uffici e la esazione di gabelle in feudo o in affitto. La magistratura del regio secreto e portolano, che soprintendeva alle attività dei porti di Terra di Bari, fece di Barletta la capitale commerciale della pro­vincia anche dopo che l'Udienza fu trasferita a Trani, nel XVI secolo.
La ricchezza dell’Università era soprattut­to nelle gabelle che riscuoteva: la cosiddetta giummella in primo luogo, che si esige su tutte le vettovaglie che si immettono in città per l’imbarco e i diritti d’infosseria e sfosseria connessi al commercio del grano. Una quantità di balzelli gravava sul com­mercio: Imbarcatura, la tassa dovuta al Doniero per ogni carro di grano che s’imbarca.
Alla scomparsa del regime feudale su cui largamente si fondava la forza commerciale di Barletta e la possibilità di li­mitare la concorrenza di altri porti grazie ai privilegi di cui godeva, si rese necessario ricor­rere ad altri mezzi per conservare la vitalità della città. Le famiglie più cospicue legate alle attività commerciali indirizzarono i loro sforzi e le risorse al miglioramento del porto, cui era legato il futuro della città.
Barletta è, nella dimensione del regno di Napoli e ancor più in quella dell'Italia unita, una realtà periferica e tuttavia nulla affatto marginale; come porto commerciale manterrà sempre un carattere di specializzazione che, se la renderà più vulnerabile di altre città all'an­damento del mercato, le consentirà di non rin­chiudersi nella dimensione angusta del cabotag­gio locale; unico tra i porti pugliesi a resistere al confronto con le grandi realtà emergenti (Bari, Brindisi) dopo l'introduzione del vapore. Di qui l'interesse progettuale allo sviluppo della struttura portuale, oggetto di una lunga serie di ipotesi di ristrutturazione.
Si conserva la documentazione, scritta e iconografica, prodotta dagli architetti e ingegneri che, tra la seconda metà del XVIII e la fine del XIX secolo, si cimentarono nella progettazione del porto com­merciale.
. Dal XVI secolo la cartografia raffigura le diverse ipotesi di ristrutturazione delle mura e le principali opere militari, tra cui alcuni progetti di fortificazioni del porto; della prima metà del XVIII secolo è il plastico del castello, opera di Giovanni Carafa duca di Noia.
Il catasto provvisorio, impiantato tra il 1809 e, il 1813 ci permette di studiare la distribuzione dei depositi commerciali. La trasposizione grafica dei dati sulla nota pianta topografica di Bar­letta del Pastore del 1793, uno degli esempi più significativi della cartografia a scala urbana nel Mezzogiorno in quell'epoca, consente di in­dividuare la disposizione dei servizi e gli assi principali del commercio. Appare evidente la differenziazione nella funzione delle aree e nel­la distribuzione della rendita di posizione, il ruolo che svolgono i numerosi insediamenti ecclesiastici, militari e civili, l'orientamento del­le correnti di traffico verso il porto lungo l'asse da porta Croce a porta Marina.
Il sistema viario del nord barese nel XIX secolo darà un impulso formidabile allo sviluppo dei traffici commerciali di Barletta, contribuendo a dimen­sionare la questione del porto. L'apertura di una rete di strade a fondo artificiale avviene con una progressione impressionante, a partire dalla costa fino ai centri interni della Murgia e della Basilicata, in poco più di mezzo secolo. Una seconda fase di sviluppo delle infrastrut­ture sarà aperta dalla costruzione della ferrovia meridionale, che a sua volta stimolerà una serie di progetti di collegamento con l'interno.
L'immagine di una città che si attrezza a svolgere un ruolo di primo piano nel commer­cio introduce al nucleo centrale di questa relazione, dedicato ai progetti e agli studi tecnici sul porto. Il porto di Barletta, nella forma assunta probabilmente in epoca romana1, e successi­vamente conservata nell'intervento angioino 2, è composto da un pennello, o molo vecchio, cioè da un braccio di fabbrica unito alla ter­raferma, proteso in direzione nord-sud, e dall’isola, una diga artificiale di scogli perpendi­colari al molo vecchio con la funzione di ri­parare il bacino antistante dagli effetti del maestrale. All'inizio del XVIII secolo esso è ancora considerato il miglior porto della provincia: «A' venti miglia incirca per ponen­te maestro da Bari si trova la città di Barletta, della quale l'ancoraggio è ben più meglio di quello di Bari, ove si àncora secondo il gusto sopra 7, 8, 9, passi di buon fondo [...], e per tramontana due miglia lontano da Barlet­ta vi è una fiumara di buon'acqua» 3.
Nel 1749, a seguito anche dell'intervento del marchese Nicolò Fraggianni4, .vengono in­viati a Barletta gli ingegneri regi Valentini e Sallustio per studiare lo stato delle opere portuali. Il progetto, messo in atto a partire dal 17505 prevede una ristrutturazione com­plessiva delle opere portuali e dell'area urba­na adiacente. L’isola viene prolungata ed as­sume una forma più arcuata. Verso il mare aperto viene elevata la scogliera, mentre sul lato interno prospiciente la città viene edifi­cata una banchina in muratura per l’ormeggio dei bastimenti, protetta da un muraglione ri­vestito in pietra dura. In tal modo il bacino dell’isola viene attrezzato a porto, ricavando nell'opera muraria anche un vano per ricovero del guardiano. Il molo vecchio viene a sua volta reso funzionale come caricatoio.La fabbrica più importante che viene edificata sul molo vecchio è il lazzaretto6
Viene, inoltre, costruita la nuova porta della Marina e sono messi in opera i lavori di ristrutturazione delle mura e delle strade adiacenti al porto.
. Nelle vedute e nelle piante topografiche sette­centesche il porto appare come una costruzione complessa, pur conservando la forma antica. Le banchine, i blocchi squadrati, le fabbriche del lazzaretto e del corpo di guardia, i due caricatoi, il doppio ponte di accesso al molo, sono quanto di meglio potesse realizzare la tecnica delle costruzioni marittime nel regno di Napoli, in cui ancora la grande maggioranza degli approdi era costituita da spiagge o rade naturali malamente riparate o da opere chiuse che tendevano a insabbiarsi e offrivano rico­vero solo alle piccole imbarcazioni addette alla navigazione di cabotaggio. Nonostante la presenza del Lazzaretto con l’obbligo connesso per le navi provenienti dall’estero di fermarsi a Barletta per lo spurgo delle merci, il porto manterrà la caratteristica di caricatoio, destinato fondamentalmente a raccogliere i prodotti di un vasto entroterra ( granaglie soprattutto, ma anche sale e altri generi) per l’estrazione, alimentando una intensa corrente di esportazione.
L’amministrazione del porto e l’amministrazione diretta dei fondi destinati ai lavori e alla manutenzione delle opere portuali viene affidata sin dal 1750 ad una deputazione cittadina, detta «delle Mezzane e del porto». I fondi impiegati pro­vengono, infatti, in massima parte, dall'affitto degli erbaggi delle Mezzane che l'università possiede lungo l'Ofanto 7.
La deputazione è formata da tre deputati proposti dalle univer­sità e nominati dal sovrano, scelti tra gli esponenti delle famiglie più cospicue della cit­tà. Essi sono coadiuvati da un soprintendente alle opere del porto. Un ingegnere regio prov­vede a seguire i lavori e tutte le questioni tecniche. Il depositario sostituisce i preceden­ti uffici dì «avvocato e procuratore delle Mez­zane» ed è scelto tra le persone che go­dono di credito e fiducia a corte 8. r
Un'altra deputazione, quella di salute, provvede a controllare che vengano osservate le norme sanitarie. Entrambe le deputazioni fanno capo alla Soprintendenza generale di Salute in Napoli, alla quale il casiere presen­ta il rendiconto annuale. Dal 1785 tutt’e due le deputazioni dipendo­no, per quel che riguarda l'organizzazione del cordone sanitario, dal direttore dei porti e marine dell'Adriatico 9.
Il traffico dei bastimenti e delle merci è sorvegliato dal capitano del porto e, per quel che riguarda le autorizzazioni ai caricamenti e la riscossione dei diritti doganali, dal mae­stro portolano con competenza su tutti i porti di Terra di Bari. Il capitano del porto, in par­ticolare, ha il compito di coordinare l'entrata, l'ormeggio e l'uscita dei navigli. La presenza di una struttura amministra­tiva e commerciale di antica tradizione, se non può impedire la concorrenza di altri porti, giustifica il rinnovato interesse della giovane monarchia borbonica nei confronti del porto di Barletta. Un interesse che non si esprime nella mera conservazione di privilegi, ma so­prattutto nel consentire che le risorse della città siano indirizzate al miglioramento degli impiantì portuali.
Molte famiglie barlettane partecipano alla attività commerciale a fianco delle compagnie e dei maggiori mercanti di grano del Regno. Nel 1804, in una lettera al preside dell'Udien­za provinciale il sindaco e gli eletti di Barletta attribuivano ai maggiori negozianti di grano della città una rendita di molte migliaia di ducati all'anno: trentamila ducati ciascuno per Gaetano Cafiero, Pietrantonìo Cafiero e Giu­seppe Ruggiero, ventimila ducati per Leonar­do Ruggiero, dodicimila ducati per Chiriachi Giuseppe10. Nei lavori di impianto del catasto provvisorio, cinque anni più tardi, i dati re­lativi alla «rendita de' capitali d'industria e commercio» danno un quadro più ampio, con una partecipazione rilevante delle famiglie dell’ aristocrazia cittadina. Le ditte iscritte per oltre cento ducati annui sono diciotto: Bonelli Giuseppe (574,50), De Leone Giusep­pe (510), Deruggiero Giuseppe (412,50), Ca­fiero Gaetano (400), Attanasio Compagnia di Bernardo (250), Cafiero Pietrantonìo (250), Pappalettere Gaetano (239,70), Attanasio Compagnia Rossi (200), Deruggiero Leonar­do (200), Barracchia Giuseppe (150), Chiria­chi Giuseppe (150), Passari Andrea (150), Elefante Nicola (120), Esperti Giorgio (117), Cusman Antonio (100), Damato Vincenzo (100), Milcovich Michele e Matteo (100), Scelza Luca (100)11.
Le rendite provenienti dall'affitto degli er­baggi e dalle franchigie «risecate» agli eccle­siastici si mostrano però insufficienti a coprire il costo dei lavori, sia perché spesso quei fondi sono impiegati per opere non con­template nei progetti, sia perché l'ammontare della rendita non è costante, sia per le spese ingenti cui è necessario far fronte 12.
A completamento dei lavori, le opere del porto di Barletta sono considerate le migliori e più sicure della costa adriatica: «Divenuto il porto di Trani incapace di dar ricovero a grossi bastimenti mercantili, tutta la costa della provincia di Bari sull'Adriatico che va sog­getta a furiose tempeste, ha soltanto il porto di Barletta situato all'estremità della Provin­cia il quale però può dare soltanto ricovero ai grossi legni mercantili» 13
Si tratta tuttavia di una sicurezza del tutto relativa, poiché «i legni per trovare fondo debbono ancorarsi a qualche distanza dal mo­lo avanzato». Diviene presto evidente il pro­blema che nel tempo renderà sempre più pre­carie le condizioni del porto: ogni intervento per dare maggior sicurezza alle navi prolun­gando il modo isolato provoca inevitabilmen­te l'insabbiamento dell'area retrostante. «In­tanto nella parte concava del porto ove si è prodotta la calma e si è impedito il cammino delle correnti, la profondità va successivamen­te diminuendosi, in guisa che nello spazio compreso dalla curva e dalla corda sottenden­te, in pochi punti v'ha l'altezza di 10 palmi d'acqua. Il canale infine tra il nuovo molo e la costa non è sicuro quando spirano i venti paralleli alla spiaggia» 14
La riapertura della questione del porto ne­gli anni '40 corrisponde a un momento di eccezionale sviluppo degli interventi relativi ai lavori pubblici nel regno e soprattutto in Terra di Bari. Con il progetto Lauria si apre una serie d’ipotesi che non saranno realizzate, ma che sono di grande interesse per lo studio delle applicazioni concrete dell'ingegneria e so­prattutto per il dibattito che si svolge nelle istituzioni. Negli anni '50 è ancora dubbia la convenienza di investire nel rafforzamento del porto di Barletta: si spera che Brindisi, grazie alla ferrovia delle Puglie e all'ipotizzato taglio dell'istmo di Suez, possa decollare come porto di transito del commercio intercontinentale; Molfetta e Bari realizzano nel frattempo im­pianti moderni ed efficienti che vi convoglieranno importanti correnti di traffico.
Gli ingegni più lungimiranti, tuttavia, hanno presto chiara l'importanza di dare a Barletta il nuovo porto commerciale.
Mentre il dibattito si fa più teso, soprat­tutto in sede amministrativa, e si moltiplicano le pressioni popolari, diversi progetti sono elaborati dagli ingegneri Ercole Lauria (1845),Luigi Giordano(1849), Sa­verio Calò (1863), Francesco Losito(1872), Tommaso Mati(1869). Tra le tante idee è infine l'ipotesi di quest'ul­timo, successivamente modificata, che verrà rea­lizzata e che darà la forma attuale al porto.
La ricchezza e la complessità dei temi af­frontati in questi studi tecnici, dà la mi­sura dell'evoluzione di un mestiere che, proprio nell'arco di tempo di cui ci stiamo interessando, definisce sempre meglio il proprio corpo dottrinario e scientifico. Architetti e ingegneri civili, pienamente inseriti nei nuovi apparati amministrativi dello Stato, si attrezzano così per svolgere un ruolo centrale nelle grandi trasformazioni a scala urbana e territoriale dell'età contemporanea.
In sintesi, il primo piano complessivo di ristruttu­razione del porto di Barletta in età moderna è del 1750. Da quella data l'interesse dello Stato e degli organi amministrativi pe­riferici nei confronti dell'opera è scandito da una serie d’interventi, attuati o solo proget­tati, in cui si cimentano alcuni tra i maggiori ingegneri idraulici napoletani prima e italiani poi. Le oscillazioni di interesse che si veri­ficano nel corso di oltre un secolo e mezzo, fino agli inizi del Novecento, sono determi­nate in misura rilevante dall'andamento del mercato di due generi, il grano prima, il vino poi; in questo Barletta è, più degli altri porti di Terra di Bari, lo specchio della realtà pro­duttiva e del ruolo tradizionale che il versante adriatico del Mezzogiorno ha come esporta­tore di prodotti agricoli e più degli altri ri­sentirà delle congiunture sfavorevoli e della crisi di quel ruolo. Porto «specializzato», con un movimento in entrata estremamente limi­tato rispetto a quello di estrazione, Barletta insegue per tutto il XIX secolo il sogno di diventare I’Odessa del Mediterraneo». La città è invece destinata a perdere definitiva­mente il ruolo di protagonista della scena pugliese e dalla seconda metà del secolo as­sisterà al decollo di Bari.
Alla caparbia volontà dei ceti imprendi­toriali locali, di cui sarà portavoce l'ammini­strazione comunale, farà in genere da contrap­peso una scarsa sensibilità dello Stato. Pur avendo un movimento commerciale notevole e superiore, fino alla fine del secolo, anche a quello di Bari, il porto sarà costantemente posposto ad altri scali meno importanti. La normativa postunitaria stabiliva la classifica­zione dei porti in rapporto al gettito della dogana, penalizzando gli scali in cui prevale­vano le esportazioni, su cui si riscuotevano diritti minori. L'appartenenza a una classe inferiore comportava che l'onere finanziario per la manutenzione e costruzione degli im­pianti gravasse sull'amministrazione locale, escludendo il contributo dello Stato.
Barletta usufruisce tuttavia del generale e massiccio intervento nel settore delle opere pubbliche, e in particolare delle comunicazio­ni, che si verifica nella seconda metà del XIX secolo.
All'inizio degli anni '60 il dibattito sul nuovo porto commerciale si fa particolarmen­te serrato. I cambiamenti istituzionali gene­rano grandi speranze e contribuiscono a raf­forzare il ceto dei notabili locali interessati all'incremento degli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture.
Grandi progetti, come quello del canale di Suez, fanno prevedere un ritorno nel Me­diterraneo, dopo più di tre secoli, delle prin­cipali correnti di traffico con l'Oriente. I col­legamenti ferroviari in costruzione lungo l'A­driatico e con Napoli e il moltiplicarsi di progetti di ferrovie secondarie costituiscono l'ossatura che consentirà alla Puglia d’inse­rirsi nei nuovi itinerari commerciali.
In questa situazione diviene fondamentale attrezzare la costa pugliese d’impianti in gra­do di ricevere le grandi correnti di traffico.
L'aumento della dimensione delle navi mercantili e l'introduzione del vapore rende necessaria una selezione e concentrazione de­gli interventi.
Si decide in questi anni il destino dei porti pugliesi attraverso una differenziazione sempre più netta tra gli impianti addetti al piccolo e medio cabotaggio e i grandi porti commerciali. La concorrenza tra le città ma­rittime si fa acuta di fronte al rischio di essere tagliate fuori dal grande commercio. Si mol­tiplicano gli interventi di amministratori e di forze sociali; su questo tema si formano e si sfaldano le amministrazioni municipali.
I tecnici cominciano a cimentarsi non solo sui problemi specifici, ma anche sui grandi temi della pianificazione.
All'ingegnere Luigi Giordano, direttore provinciale di Ponti e Strade, si deve il primo tentativo di dare una soluzione unitaria alla questione dei porti dell'Adriatico. Nel proget­to che redige per il porto di Bari nel 1853 fa precedere la relazione specifica da uno stu­dio complessivo e da una analisi dei diversi impianti.
I progetti che sono elaborati a partire dal 1849 rappresentano la sintesi del dibattito che avviene nelle istituzioni; le ipotesi di svi­luppo della città e del suo bacino produttivo si misurano con le soluzioni tecniche propo­ste. In questo senso Barletta esce dalla dimen­sione di caso «minore» per diventare uno dei «laboratori» più importanti del Mezzo­giorno in cui la cultura tecnica, in questo caso l'ingegneria idraulica, in condizioni geo­grafiche particolarmente complesse, si confronta con gli apparati amministrativi moder­ni per ridefinire la forma e le funzioni della città.

IL PROGETTO CALO’

Nel grande dibattito che dagli inizi degli anni '60 coinvolge amministratori, tecnici e forze sociali, s’inserisce il progetto redatto dall'ingegnere barlettano Saverio Calò 15)
Lo studio, presentato al comune il 19 settembre 1863 e compiuto al di fuori di un incarico ufficiale, non sarà eseguito.
Si tratta nel complesso di un progetto molto dispendioso. La spesa prevista di lire 1.913.340,45 supera di quasi cinque volte quella, già considerata eccessivamente onerosa, del progetto Lauria.
I rilievi sulle correnti portano Calò, diver­samente da Giordano, ad accreditare l'ipotesi che la parte più soggetta all'interramento sia quella a occidente del molo antico. Per que­sto motivo egli considera necessario ostaco­lare il corso della corrente litoranea con un lungo molo composto di quattro bracci che, a partire dal Paraticchio, limiti a ovest e a nord il bacino. A oriente l'area del vecchio porto è recuperata attraverso un molo poligonale che congiunge la punta del molo di terra con l'estremità orientale dell'isola, creando un bacino interno quasi circolare. L'imboccatura del porto, aperta ai venti orien­tali, è protetta da un braccio di molo che dall'isola si protende a settentrione. Tutto l'ampio perimetro interno del porto è fornito di banchina con colonne di ormeggio e con­sente il transito dei carri. Il vecchio molo è inglobato in una vasta spianata che ar­riva fin sotto le mura e prosegue quindi fino al Paraticchio. È questo il settore destinato alle principali operazioni di carico e scarico delle merci. Un doppio piano inclinato mette in comunicazione la banchina con la città.
In seguito alle osservazioni dei marinai il progetto originario è modificato, elimi­nando il molo occidentale e sostituendolo con un molo isolato che chiude il solo lato set­tentrionale.
Il consiglio superiore dei Lavori Pubblici, cui sono sottoposti i progetti degli inge­gneri Giordano e Calò, incaricherà l’ingegnere Pansini, direttore dei lavori del porto, di re­digere un terzo progetto tenendo conto dei primi due. Negli anni successivi, tuttavia, la questione sarà riconsiderata dal consiglio co­munale che delibererà nel 1867 di affidare l’incarico all'ispettore del genio civile ingegnere Tommaso Mati.

IL PROGETTO MATI

Nel 1869 il comune affida l'incarico di elaborare un nuovo piano di ristrutturazione del porto all'ingegnere capo del genio civile Tommaso Mati, uno dei più autorevoli esperti di ingegneria idraulica, direttore dei lavori nei porti di Livorno e Brindisi.
Le considerazioni svolte dall'ingegnere Mati sulla posizione e conformazione del por­to, sulle correnti e sui venti contrastano con le ipotesi avanzate dall'ingegnere Luigi Gior­dano sulle cause degli interramenti. Secondo gli studi di Mati il litorale di Barletta è for­mato da una spiaggia che a ponente del porto è soggetta a corrosione e a levante tende a protendersi. Ne consegue che il livello delle acque, molto basso in quest'ultima zona del bacino a causa della depressione del lido, non presenta punte molto più elevate nell'area di ponente, dove confluiscono massicce le torbi­de dell'Ofanto fin qui trasportate dalla cor­rente litoranea. Inutili risultano pertanto i lavori di cavamento che periodicamene ven­gono eseguiti per aumentare le profondità Contribuisce a rendere precario lo stato delle opere la disposizione dei due moli che espone il porto ai venti compresi tra tramontana e scirocco, a quelli spiranti in direzione di le­vante e alla traversia del greco 16) .
Il progetto Mati intende recuperare l'area del porto antico. In esso sono distinte le opere da realizzare immediatamente e quel­le da eseguire in una seconda fase, in re­lazione alla disponibilità finanziaria. Il molo attrezzato coincide con l'isola, allargata con un'ampia banchina per consentire le operazioni di carico e scarico, prolungata a oriente e congiunta con una diga continuata all'antico molo di terra. Il completamento delle opere del molo di ponente prevede, successivamen­te, la sistemazione ed ampliamento dell'antico caricatoio e dell'area antistante la porta Ma­rina. A levante una gettata di scogli protegge il porto dal vento di greco-levante. Nel pro­getto di massima è prevista la continuazione del molo di levante fino alla spiaggia, chiu­dendo il bacino anche dalla parte orientale.
Il piano dei lavori, presentato il 16 dicem­bre 1869, viene approvato nel 1871 con al­cune modifiche apportate dall'ispettore Serra, inviato a Barletta dal ministero del Lavori Pubblici per risolvere la controversia sorta tra il Mati e l'ingegnere comunale Francesco Losito, autore di un progetto alternativo. Le variazioni che sono proposte tendono ad assicurare al bacino una maggiore protezione dai venti e dalle onde: il molo di tramontana, che nel primo progetto aveva un andamento rettilineo, è corretto in una linea spezzata più avanzata verso il largo; la gettata di le­vante prolungata e curvata verso l'interno del porto.
Allegate al capitolato d'appalto dei lavo­ri 17, approvato dal consiglio comunale nel 1874, vi sono cinque tavole che illustrano le opere da eseguire.
Nonostante l'entusiasmo della cittadinan­za e dei marinai in particolare, che vedevano nel progetto Mati una soluzione ideale ai pro­blemi del porto che avrebbe offerto con l'am­piezza del nuovo bacino condizioni ottimali per le operazioni commerciali, i lavori furono appaltati soltanto nel 1879. I fondi furono raccolti attraverso la costituzione di un con­sorzio cui parteciparono lo Stato, la provincia e i comuni interessati di Capitanata, Terra di Bari e Basilicata, che contribuirono alle spese in ragione dell'entità dei loro rapporti commerciali con Barletta 18.

LA CITTA MURATA

Nella seconda metà del Settecento la città, che conta circa 16.000 abitanti, ha tre quar­tieri: «della Marinaria, ch'è alla parte Orien­tale della Città, abitato soltanto dai Marinaj; delle Sette Rue, che è nel mezzo, abitato dagli Artieri; e del Borgo S. Giacomo, che è all'Oc­cidente abitato dai Campagnuoli, toltone però le strade principali, e maestre, che vengono abitate dai Nobili, Cittadini, e Religiosi. Le strade sono così larghe, che anche la più stret­ta è carrozzabile» 19
Giuseppe Maria Galanti nel 1791 anno­tava che «sopra tutte le città della
Puglia, Barletta ha un'aria grandiosa per la sua co­struzione, ma ha più
apparenza che sostan­za» .20
L'aria grandiosa della città è rilevabile soprattutto nelle «strade principali e maestre» che costituiscono il tessuto connettivo tra le diverse aree. Lungo le vie del Cambio, della Piazza, della Cordoneria, di S. Giacomo, di Porta Reale, delle Carrozze e nella piazza del­l'Annunziata si allineano magnifici esempi di architettura religiosa e civile che tra il XV e il XVIII secolo le conferiscono il suo aspet­to di «capitale». Quattro porte mettono in comunicazione l'abitato con la campagna: por­ta S. Leonardo, a oriente verso Trani; porta Croce e porta Nuova a sud, in prossimità della strada Consolare e in direzione delle vie di Andria e Canosa; porta Reale a occi­dente .21 .
La quinta porta, della Marina, mette in comunicazione la città con il porto.
Al di fuori dei tre quartieri sono indivi­duabili alcune aree con una fisionomia par­ticolare: il complesso di proprietà della comunità greca, intorno alla chiesa di S. Maria degli Angeli; l'area di porta Marina dove è presente una concentrazione di edifici militari (i quartieri per alloggiare le truppe); il Pa­niere del sabato, grande piazza-mercato che in età angioina divideva la città murata dal borgo S. Giacomo.
Le vicende storiche e urbanistiche di Bar­letta sono in gran parte determinate, nel corso di molti secoli, dalla sua funzione militare. La città è annoverata a lungo tra i quattro principali castelli d'Italia 22 ed è costante l'at­tenzione dei sovrani angioini, aragonesi e spa­gnoli nei confronti delle sue opere militari.
Barletta manterrà fino all'Unità la sua funzione di piazzaforte che è testimoniata nel XIX secolo da numerosi interventi del Genio relativi alle opere militari: la ristrutturazione dei quartieri per le truppe nell'area del porto; la continua attenzione prestata al castello (che solo dopo l'Unità, quando perderà la sua im­portanza militare, verrà trascurato); gli studi per la sistemazione delle batterie di artiglie­ria; la trasformazione in caserme di monaste­ri. Pur avendo perso a partire dalla fine del XVI secolo il ruolo di capitale ammini­strativa e giudiziaria della provincia, in segui­to al trasferimento della Udienza a Trani, essa rimane il principale centro militare della Puglia: ancora nel 1810 è sede del comando della quarta divisione, comprendente le pro­vince dì Bari, Capitanata, Otranto e Basilica­ta 24
La rilevante funzione militare spiega una serie d’interventi diretti del potere centrale che hanno non poco peso nel determinare la topografia e l'assetto urbanistico della città. Barletta, come appare alla fine del XVIII secolo nella nota pianta del Pastore dedicata al maestro portolano Giorgio Esperti, è com­presa nell'ambito delle ampie mura cinque­centesche, che hanno incorporato a ovest l'antico borgo S. Giacomo, compreso tra porta Nuova e porta Reale, presso la fortezza del Paraticchio25
Ad est la città ha invece con­servato in gran parte la sua forma medievale, a
parte la ricostruzione del castello, le rettifiche alle mura e la costruzione dei
nuovi bastioni dettata dal progresso dell'architettura militare. Le fortificazioni
di Barletta sono og­getto, tra il XVI e il XVIII secolo, di diversi studi, dei quali
rimangono interessanti docu­menti. In particolare ricordiamo il progetto di
ristrutturazione di Carlo Gambacorta del 1598, che fa parte di un piano relativo
ai porti pugliesi26, l'altro progetto anonimo e non datato, conservato presso il gabinetto dei disegni della Galleria degli Uffizi 27 ; il plastico del castello eseguito nella prima metà del XVIII secolo dal duca di Noia 28
Alla fine del Settecento nel tessuto urba­no sono ancora perfettamente leggibili le stra­tificazioni successive che corrispondono a in­sediamenti, avvenuti in epoche diverse, delle popolazioni provenienti dai centri in decaden­za di Canne e Canosa o da casali distrutti.
Nell'XI secolo la città era stata munita di una prima cinta di mura, che il Loffredo 29 attribuisce al conte normanno Pietro di Trani. A sud le mura del Cambio coincidevano con la strada che manterrà in seguito quel nome; a ovest l'andamento è meno certo e dalla chiesa del Purgatorio, sempre secondo il Lof­fredo, avrebbe proceduto verso il mare se­guendo la direttrice del lato occidentale della piazza in cui si teneva il mercato del pesce. Appena un secolo dopo si sarebbe reso ne­cessario un nuovo intervento di ampliamento a sud fino a inglobare il borgo S. Sepolcro la chiesa omonima, in un documento del 1162 è detta «intra menia Baroli» 30.
Quest’ampliamento lasciava aperta la murazione a occidente, dove nel frattempo andava sorgendo il borgo S. Giacomo ad opera di immigrati cannesi31. A quel borgo faceva riferimento lo spiazzo del Paniere del sabato, che sin da allora ebbe la funzione di mercato dei prodotti agricoli dell'entroter­ra. Tra il Paniere del sabato e le antiche mura del Purgatorio si costituiva l'altro im­portante insediamento abitativo, ricondotto dalle fonti storiografiche locali32 all'ultima immigrazione da Canne, ormai definitivamente abbandonata. Il nuovo quartiere, i cui isolati assumevano dal 1300 la ca­ratteristica forma allungata, prendeva il nome di Sette Rue dalle sette strade parallele che lo compongono. In questa situazione s’inserivano gli interventi di Carlo I e Carli II d’Angiò che ridefinivano nel loro complesso le funzioni urbane: a mezzogiorno era spostata la li­nea delle mura del Cambio fino a raggiungere la posizione che conserva alla fine del XVIII secolo; al posto delle mura era stata aperta la strada del Cambio divenuta da allora il principale asse viario a oriente, in direzione della porta di S. Leonardo (o di Trani) 33. A occidente le mura erano chiuse fino a inglobare le Sette Rue lungo una linea che procedeva dal monastero dell'Annunziata a quello di Santo Stefano 34. L'intervento dì Carlo II non si limitava al completamento delle mura, ma conteneva una normativa det­tagliata tendente ad una complessiva ristrut­turazione urbanistica: «Provvedevasi a siste­mare le piazze delle città ed a riordinare le vie, facendone quinci rimuovere o regolare gli archi, le torri e gli sporti di ogni sorta che le ingombravano, quindi curarne la net­tezza con lastricati e i canali di scolo delle acque luride» 35.) All'intervento angioino sono da ascriversi la sistemazione del quartiere del­le Sette Rue, l'allineamento degli edifici lungo gli assi principali, il raccordo operato tra i tre quartieri mediante l'apertura della Piazza, che diviene da allora il centro cittadino.
Una lettura delle funzioni commerciali ur­bane all'inizio del XIX secolo è possibile fa­cendo riferimento alla distribuzione dei depo­siti (fosse e magazzini), individuati per fasce di rendita. I più antichi contenitori per la conservazione dei cereali sono le fosse, locali scavati ad una profondità di 8-10 metri con la bocca sul piano della strada. Ancora nel­l'Ottocento le fosse hanno a Barletta una im­portanza tale sul piano della rendita da essere censite in una sezione particolare del catasto provvisorio. La funzionalità di tali depositi, in cui il grano si poteva conservare sino a cinque anni, è tuttavia già messa in discus­sione in quell'epoca per la difficoltà dei con­trolli che rendeva agevoli operazioni illecite, come quella di mescolare grani di qualità in­feriore ai grani immessi nei locali. Nella città le fosse sono concentrate lungo gli assi viari principali (Cordoneria, la Piazza, S. Giacomo) e le strade carrozzabili, ad esclusione del rione Marineria, con una rendita catastale omoge­nea che non appare determinata dalla posi­zione. Al momento dell'impianto del catasto provvisorio di Barletta (1813) un gran nume­ro di fosse censite nelle prime operazioni del 1809 è considerato inutilizzabile. La rendita complessiva dei depositi viene portata da du­cati 5.577,92 a ducati 3.89444 (-1.28348) . La diminuzione è motivata dalla verifica di 95 fosse (delle 320 censite nel 1809) «inutili e inesistenti, parte di esse applicate al depo­sito dell'ovaio de' bruchi, altre ripiene di terra e demolite da esse loro» 8. Tuttavia ancora nel 1835 alcuni proprietari chiedono ed ot­tengono il permesso di scavare nuove fosse nelle aree adiacenti al castello (porta S. Leo­nardo) .
A partire dall'inizio dell'Ottocento le fos­se vengono progressivamente sostituite dai magazzini, più funzionali per le operazioni di immissione ed estrazione e per i controlli sulle frodi. Quasi tutti sono di proprietà delle maggiori famiglie barlettane che, secondo l'u­so descritto da Afan de Rivera, li danno so­litamente in fitto agli operatori commerciali; a loro volta «i proprietari dei grani affidavano la cura e la custodia delle loro derrate ai cosiddetti ricevitori e magazzinieri» 10. Dei quaranta magazzini censiti nel 1813 in cata­sto, uno, appartenente al complesso di pro­prietà della comunità greca, è iscritto per una rendita di 330 ducati; undici per oltre 150 ducati; quindici tra 100 e 150 ducati; tredici per meno di 100 ducati. La loro presenza è diffusa nella città, tuttavia quelli con una ren­dita più elevata (oltre 100 ducati) sono con­centrati in massima parte lungo Tasse della Piazza, da porta Croce a porta Marina, e nelle strade adiacenti. È questo il principale per­corso urbano verso il porto; porta Croce, ter­minale della strada diretta a Canosa, che con­giunge Barletta sia con Cerignola che con Spinazzola, i due principali mercati granari di Capitanata e Basilicata, è il filtro attraverso cui passa gran parte del commercio barlettano. La direttrice Canosa-Barletta ha costituito per secoli il tratto terminale di una delle prin­cipali «vie del grano» del regno di Napoli.

*Conferenza tenuta presso il circolo unione di Barletta il 25 febbraio2011, organizzata dai LIONS

CLUB LEONITINE DE NITTIS E ETTORE FIERAMOSCA..

1) Alla metà del XVIII secolo la disposizione deimassi sul fondale suggeriva che l'isola in età romana fosse situata ad occidente di quella allora esistente e si estendesse per circa ioo canne di lunghezza.

2) Cfr. in particolare i due rescritti del re Carlo II del 24 e 27 ottobre 1300, riportati in Filangieridi Candida R., Le pergamene di Barletta del R. Ar­chivio di Napoli, 1075-1389, Trani 1927.

3) Nuovo et esattissimo portolano di tutto il marMediterraneo, composto dai piloti della squadra delle galere della sacra religione gerosolimitana residente in Malta nell'anno 1707, manoscritto, fol. 237^ BNN, Ms. XII-D-58.

4) Nicolò Fraggianni è un personaggio chiave nella vita di Barletta in quegli anni, rappresentando il tra mite più autorevole tra la città e la corte. Giurista e consigliere del re, è caporuota della Camera di S .Chiara e delegato della real giurisdizione nelle liti tra Chiesa e Stato

5)) Nel 1750 fu collocata la prima pietra (AS Barletta In ,Archivio Storico Comunale, b. 22, fase. 277).

6) Nei lazzaretti venivano compiute le operazioni di disinfestazione delle merci provenienti dall'estero, in particolare dal Levante, e si osservavano le norme relative alle quarantene. Occasionalmente potevano ospitare anche persone. A secondo della destinazione la,normativa sanitaria distingueva lazzaretti di osser­vazione, come quello di Barletta, e lazzaretti

7) Le mezzane sono così denominate: Pioppo, Paulo Stimolo, Olivella, Oliva, Masseria di Basso, Ciaminarella o Passo di Riso, Medico Forteto e Carro di Querald, Callano o S. Antonio, Canne, Ferretto e S. Mercurio, Pilone, Madonna del Petto, S. Nicola e Mercanti, Sepolcro, erbe minute di Rasciatano e corpi adiacenti. (AS Barletta, Archivio Storico Comunale, s. IX, ss. IV, b. 22, fase. 278).

8) II primo depositario, nominato nel 1750, è lo stesso marchese Nicolò Fraggianni {AS Barletta, Ar­chivio storico comunale, s.IX, SS. IV, B. 22, fasc.277)

9) L'ufficio, di cui viene insignito per primo Fran­cesco Marulli, patrìzio barlettano e preside della Udienza di Lecce, viene istituito in seguito alla buona prova data da questi nel dirigere il cordone sanitario in occasione di una epidemia di peste scoppiata in Albania; ha il compito di rendere stabile ed efficace la difesa sanitaria verso l'altra sponda dell'Adriatico con una serie di attribuzioni prima spettanti alla So­printendenza generale di salute

10)AST, Udienza, Affari diversi, b.13, fasc.110,

11)ASB, Intendenza, Lavori, rettifiche e revisione del catasto provvisorio, b. 2, fasc. 14.

12) II 2 febbraio 1793 il marchese Filippo Mazzocchi, luogotenente della Camera della Sommaria e So­printendente alla Salute, chiede un resoconto dei 140.000 ducati impiegati per i lavori al porto dal 1751 al 1793. Il 16 febbraioladeputazone invia a Napoli una relazione in cui si giustificano le spese e si allega la descrizione delle opere redatte dall'in­ gegner Domenico Mangarelli, direttore dei lavori: «Nello stato presente in cui ritrovasi detto porto, non si diffìculta, che rechi benefìcio, ed è nello stato di dare sicuro ricovero ai naviganti, siccome sì vede alla giornata, e secondo accadono gli approdi, e maggiore quando sarà intieramente terminato esso porto, il qua­ le verrà riparato, e coperto dalli venti, cioè da gre­co-tramontana, da tramontana, e da maistro-ponente:
oggi però in quella situazione che ritrovasi esso mu­ ragliene U seno di detto porto vien riparato da gre­co-tramontana per sino al quarto vento di tramontana; e volendosi allungare con il tempo la punta del braccio per la parte di levante per altri passi 20, non solo che il detto porto verrebbe ad essere riparato da tutto l'intiero vento greco, ma acquisterebbe il detto porto altra profondità di acqua per sino a palmi 20 circa, e guadagnerebbe altre due andane di bastimenti. Bene inteso, che esso porto d'anno in anno ave precisombisogno dì annettamento, ch'è quanto si deve far pre­ sente a chi conviene». (AS Barletta, Archìvio Storico Comunale, b. 22, fase. 280).

13) Alfan De RIVERA C. Rapporto generale sulla situazione delle strade, sulla bonificazione e sugli edifizi pubblici nei reali domini di qua dal Faro, Napoli,1827.

14) Ivi

15) AS Barletta, Archivio storico comunale, s. IX, ss. IV, b. 22, fase. 285.

16) ASB, Prefettura, Porti e fari, b. 26, fase. 524.

17) ASB, Prefettura, Porti e fari, b. 47, fase. 796/2.

18) Al consorzio, che si costituì nel 1876, aderirono i comuni di Barletta, Andria, Canosa, Corato, Miner­vino, Ruvo, Spinazzola, Terlizzi, Altamura, Gioia e Gravina in provincia di Bari; Ascoli Satriano, Bovino,Candela, Cerignola, Foggia, Lucerà, Ortanova, Trini-
tapoli e S. Severo in provincia di Foggia; Montepeloso, Lavello, Melfi, Montemilone, Rionero e Venosain provincia di Potenza (ASB, Prefettura, Porti e fari, b. 47, fase. 796/1).

19) Orlandi C, Delle città d'Italia, Perugia 1774, vol. IlI, p. 97.

20) Galanti G.M., Relazione sulla terra di Bari Barletta 12.5.1791, Milano 1952, p. 70

21)Quest'ultima sarà chiusa in conseguenza della costruzione della strada consolare e sostituita nel 1842 dalla porta S. Agostino, più prossima alla nuova stra­da, in corrispondenza della strada S. Giacomo

22) Cfr. Giustiniani L., Dizionario geografico del regno delle Due Sicilie, Napoli 1797, voi. II, p. 208;viene citata a questo proposito la Descrizione d'Italia di Leandro Alberti, edita nel 1577. La stessa consi­derazione è riportata da Francesco Paolo de Leon,autore del saggio su Barletta nell'opera citata di Cesare Orlandi

23) Diverse piante topografiche relative a tali studi e prospetti, sono conservate presso la sezione mano­scritti della biblioteca nazionale di Napoli.

24) Cfr. la Carta itineraria delle stazioni militari de Regno di Napoli, di G.A. Rizzi Zannoni, pubblicata nel 1810

25) Gli altri borghi posti intorno alle mura della città vennero abbandonati e distrutti, parte dopo la costruzione dell'ultima cinta, per evitare una loro utilizzazione militare contro la città stessa in caso di assedio, parte in seguito alla peste del 1656-57. Con i borghi di S. Vitale dello Sterpeto, della Marra, di S. Michele e di S. Giacomo la città aveva l'ampiezza di quasi cinque miglia, cfr. De Leon F.P., Barletta, in Orlandi C, op. cit., p. 97

26) La tavola relativa a Barletta è contenuta nell'a­tlante manoscritto di Carlo Gambacorta disegnato nel1598, conservato nella biblioteca nazionale di Napoli. Il volume, rilegato in pergamena, ha sul dorso l'in­dicazione «Piante di 3 prov[ince] di Napoli». Si com­pone di ff. 22, con tavole a colori. La prima tavola è il quadro d'insieme della Puglia; reca la legenda:«tutte le parti del presente libro sono fatte con un medesima scala acciò si possa comprendere la differentia della grandezza di ciascheduna et la capacità loro, salvo che si è dupplicato et fatta in piccol forma
le piante di Brindisi et Taranto, accioché in un foglio solo sì possa vedere nel modo che stanno le Isole vicine et l'effetto loro con il sito suo. Le linee et Membri signate con ponti... sarà il modo, con il qual si pottrà migliorare le difese potendosi però sminuirle et aggrandirle come più piacerà alla persona che si troverà in fatto». Nelle piante è indicata la scala e l'orientamento, la murazione in rosso, le modifiche proposte, i pozzi d'acqua fuori dell'abitato e alcune schematiche indicazioni topografiche. Un altro esem­plare del manoscritto è conservato presso la biblioteca nazionale Marciana di Venezia. Quest'ultimo contiene anche l'indicazione del numero dei fuochi delle diverse città e delle torri esistenti nel loro territorio.

27) Nella pianta sono indicati con la doppia linea le fortificazioni esistenti, il limite delle abitazioni al­l'interno, i nuovi bastioni da costruire, il fossato pro­gettato intorno alle mura. Sono disegnate quattro por­te: S.Leonardo, Croce, Reale e di Mare. Il porto è accennato in maniera informe e sono indicate le secche a ovest del molo

28) II plastico, eseguito con quelli di Trani e Bari, proviene dal museo nazionale di S. Martino in Napoli ed è attualmente conservato nella soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Bari. II castello, al vertice nord-est del quadrilatero urbano, presso la porta di Trani, domina il porto da levante. Fu eretto per ordine di Carlo V nello stesso luogo in cui sorgeva il vecchio castello, già sede del palazzo regio. I lavori furono ultimati nel 1537 (cfr. S. Loffredo, op. cit, voi. II, p. 63).

29) LOFFREDO S., Storia della città di Barletta, Trani 1893 ( ristampa Bologna 1978), vol.I, P.144.

30) Prologo A., Carte dell'Archivio metropolitano di Trani, Trani 1924, doc. LII p. 118, doc. LUI p.122.

31)Burgo novo ecclesìae sancii lacobi, è definito in un diploma di Federico II del 1205 (Ughelli F., Italia Sacra, Venezia 1717, tomo VII, col. 825, cit. in S Loffredo, op. cit., voi. I, p. 140).

32) Loffredo S., op. cit., voi. I, pp. 303-304.

33) II documento, del 1268, è riportato in appen­dice a S. Loffredo, op. cit., voi. II, p. 309.

34)II completamento delle mura viene ordinato con i rescritti del 28 aprile 1296 e del 24 ottobre1300; nel piano angioino avrebbero dovuto essere inclusi nelle mura anche i borghi di S. Giacomo e S. Vitale e parte del borgo della Marra.

35) Loffredo S., op. cit., voi. I, p. 309.

>

LE FONTI DOCUMENTARIE

In questa prospettiva di ricerca ci siamo serviti delle relazioni tecniche. Nel­la scelta dei documenti consultati si è tenuto conto in particolare degli studi e rilievi che definiscono l'ambito geo­grafico d'intervento; delle ipotesi progettuali; del materiali e delle tecnologie di costruzione.
Per i riferimenti alle vicende urbanistiche, al­l'articolazione delle funzioni commerciali del­la città, ai rapporti con l'entroterra, mi sono li­mitato a quel che è apparso indispensabile, anche in relazione all'obiettivo di offrire uno spaccato della storia della città di Barletta.
Il lavoro sconta in parte l'assenza di studi di questo tipo, in particolare nel Mezzogior­no; non tanto per la carenza di riferimenti bibliografici o per l'impossibilità di applicare un metodo di ricerca già sperimentato, quanto soprattutto per la difficoltà di raccogliere una completa documentazione archivistica.
Negli archivi pugliesi la ricerca è stata agevole sia per motivi logistici che per il relativo buon ordine delle carte e la presenza di inventari sufficientemente analitici. È ov­vio che tale condizione è dovuta soprattutto al fatto che questi archivi conservano quasi esclusivamente carte del periodo in esame e hanno una dimensione quantitativamente con­tenuta. Nell'archivio di Stato di Bari i fondi utilizzati sono in particolare Intendenza di Terra di Bari e la Prefettura. Si tratta di carte il cui ordinamento è tuttora in corso, ma all'interno delle quali è ben individuata la serie Porti e fari, con una completa documen­tazione relativa sia agli affari amministrativi dei porti, sia alle ipotesi progettuali, a volte accompagnate da cartografia. L'intendenza e, successivamente, la prefettura, agiscono come organi di controllo sulle amministrazioni lo­cali e filtro tra queste e l'amministrazione centrale. Il carteggio si forma quindi sia con il comune e con la deputazione del porto, quando questa è costituita autonomamente da quella municipale, sia con i ministeri (Interni, Finanze, Lavori Pubblici) e le strutture pre­poste alla direzione tecnica delle opere pub­bliche (il servizio di Ponti e Strade costituito dal 1806 e inglobato dopo l'Unità nel corpo reale del Genio civile). Per queste ultime amministrazioni sono andate disperse le carte più antiche degli archivi di livello provinciale, salvo poche carte dell'inizio dell'ultimo secolo recentemente versate all'archivio di Stato di Bari dall'ufficio del genio civile per le opere marittime.
L'archivio comunale di Barletta, depositato presso la locale sezione di archìvio di Stato, ha consentito di arricchire la conoscenza del dibattito locale e delle ipotesi progettuali, sia attraverso la serie delle Deliberazioni del de-curionato prima e, dopo l'Unità, del consiglio comunale, sia attraverso il carteggio relativo al porto; la documentazione burocratica del comune abbraccia un arco cronologico più ampio di quello dell'intendenza-prefettura co­me terminus a quo. La documentazione set­tecentesca è tutta conservata nell'archivio co­munale e, per alcuni importanti riferimenti cartografici, presso il museo civico. Alcune integrazioni sono state possibili attraverso le poche e frammentarie carte della famiglia Esperti di Barletta donate all'archivio di Stato di Bari, in particolare per quel che riguarda l'attività di Giorgio Esperti, portolano di Ter­ra di Bari nella seconda metà del Settecento, fino alla soppressione della carica nel decen­nio francese. Per lo stesso periodo, interes­santi riferimento alla istituzione nel 1785 del­la magistratura di direttore generale delle ma­rine dell'Adriatico sono contenute nel fondo della Sacra regia udienza di Terra di Bari; si spiega così, tra l'altro, la presenza della organica raccolta delle patenti di sanità nel­l'archivio di Stato di Lecce.
Fuori della Puglia, la ricerca è stata con­dotta in tre direzioni: le raccolte cartografi­che; i riferimenti culturali dell'ingegneria ci­vile ottocentesca; la documentazione burocra­tica utile a integrare i vuoti degli archivi periferici e a studiare il dibattito a livello cen­trale.
Una delle principali raccolte cartografiche nel Mezzogiorno è quella della biblioteca na­zionale «Vittorio Emanuele III» di Napoli. Nella sezione manoscritti, accanto ad alcuni pregevoli esempi di studi sulle fortificazioni, come l'atlante di Carlo Gambacorta del 1598, è conservato il nucleo più consistente della cartoteca dell'Officio topografico del genio, fondato dal geografo Giovanni Antonio Rizzi Zannoni. L'analoga raccolta di progetti e carte topografiche operata dalla direzione generale di Ponti e Strade pare invece dispersa.
Una idea della circolazione delle cono­scenze e del dibattito culturale intorno all'in­gegneria civile nel XIX secolo nel Mezzogior­no è fornita dalla organica raccolta di testi, soprattutto francesi, conservati nella bibliote­ca nazionale di Napoli e provenienti anch'essi dalla biblioteca dell'Officio topografico. Ac­canto ai testi di studio, il termometro del dibattito è costituito dai periodici; ricordiamo in particolare gli Annali civili, pubblicati tra il 1833 e il 1859 e, su un piano più squi­sitamente tecnico, gli Annali delle opere pub­bliche e dell'architettura, tra il 1851 e il 1860. Ancora, ricche di riferimenti di grande inte­resse sono le opere degli autori meridionali, primo fra tutti Carlo Afan de Rivera, il mag­giore artefice della organizzazione del servizio di Ponti e Strade.
La parte senza dubbio più complessa della ricerca è stata quella condotta nell'archivio di Stato di Napoli e nell'archivio centrale del­lo Stato. Nell'archivio napoletano la dimensione ecce­zionale dei lavori di ordinamento e le vicende del terremoto non hanno ancora consentito di fornire di adeguati strumenti di consulta­zione fondi di grande interesse, come il mi­nistero dell'Interno. Per la Terra di Bari ha tuttavia notevole interesse la raccolta dei ver­bali del consiglio provinciale, i cui originali mancano nell'archivio di Stato di Bari; la principale competenza dell'organo era infatti la programmazione degli interventi nel settore delle opere pubbliche. Di altri fondi, in par­ticolare la Segreteria d'azienda (primo periodo borbonico), è in corso attualmente la redazio­ne dell'inventario. Tra gli altri fondi consul­tati sono da ricordare il ministero dei Lavori Pubblici, il ministero di Agricoltura e Commer-ciOy la direzione generale di Ponti e Strade, il ministero di Guerra e Marina (presso la sezione militare), la raccolta di mappe e dise­gni.
Presso l'archivio centrale dello Stato i la­vori di ordinamento dei fondi più consultati - quelli che sono materia di studi di storia politica o economica — sono stati ovviamente messi in primo piano, e solo da poco è stato possibile avviare l'ordinamento dei fondi re­lativi ai lavori pubblici e alla marina. La con­sultazione di gran parte di quelle carte è resa difficile anche dalla frammentazione dovuta ai continui cambiamenti nell'organizzazione dei ministeri. Una grande quantità di mate­riale cartografico (per la Guida generale degli archivi di Stato italiani risultano censiti 180 rotoli di piante e progetti diversi nella miscel­lanea del ministero dei Lavori Pubblici) è stato individuato ma è tuttora da catalogare. Nelle carte dell'Ufficio stralcio degli archivi dei lavori pubblici e nella serie Porti e fari (direzione generale Ponti, Acque e Strade) è stato tuttavia possibile rinvenire alcune in­teressanti relazioni.
Ci sembra in conclusione che la ricchezza della documentazione tecnica conservata in archivi, biblioteche e musei, quasi completa­mente inesplorata, incoraggi anche nel Mez­zogiorno ricerche più ampie volte a ricostruire il dibattito culturale, l'evoluzione delle figure professionali, l'adattamento degli apparati am­ministrativi post-rivoluzionari alle nuove esi­genze progettuali; è centrale in questa pro­spettiva il ruolo degli istituti archivistici, non soltanto per rendere consultabile la documen­tazione, ma anche per promuovere la ricerca storica in un settore di studi che, per i suoi molteplici profili (istituzionali, tecnici, econo­mici) richiede approcci e specialismi diversi.