Un’associazione come la nostra deve tendere a
dare una comune univocità alle attuazioni verso la
società… di Giuseppe Dibenedetto *
Le novità istituzionali di questi ultimi due decenni,
rappresentate dalla nuova disciplina del diritto di
sciopero, dalla riforma del procedimento amministrativo
e dal riordino del sistema delle autonomie, consentono
di formulare un’ipotesi radicale di riassetto del rapporto
tra cittadino e istituzioni per come si era venuto configurando
nella storia dell’Italia moderna.
In definitiva, se la questione chiave sta nella relativa
estraneità del cittadino italiano rispetto alla sfera pubblica,
un sentimento che lo distingue dai cittadini delle
grandi democrazie moderne, i mutamenti istituzionali
che sono alla base del passaggio dalla prima alla seconda
repubblica, benché importanti, non bastano a segnare
una novità di questa portata.
Volendo azzardare qualche ipotesi sulle possibili cause
di un processo di più ampia portata e di più profonde
radici, ci si può riferire in primo luogo all’integrazione
europea. Quest’aspetto può avere agito per più concause.
In primo luogo, costringendo il sistema Italia a una
competizione globale, ha evidenziato gli svantaggi relativi
che gravano sul sistema produttivo del nostro paese
a causa dell’inefficienza della macchina amministrativa.
In secondo luogo, l’introduzione di un nuovo livello istituzionale
di dimensione sovranazionale ha evidenziato
il difetto di funzionalità dei successivi livelli, nazionale
e locale. In più, spostando nel nuovo ambito sovranazionale
la dimensione stessa dello stato, ha in qualche
modo contribuito a chiudere la partita della separatezza
tra cittadino e stato che la repubblica, nonostante la resistenza,
ancora sopportava come eredità non risolta del
Risorgimento (questione cattolica e questione sociale) e
del fascismo.
D’altra parte, lo stesso esplodere della questione del
federalismo è stato visto in questa chiave come il complemento
dell’integrazione europea, in termini di ridimensionamento
del peso del livello nazionale: un modo
di risolvere il problema della legittimità e dell’autorità
dello stato spostandone la collocazione, verso l’alto
(Europa) e insieme verso il basso (regioni). Accanto agli
effetti dell’integrazione europea, che al di là di ogni cosa
implica anche una sorta di sprovincializzazione, hanno
indubbiamente giocato quei medesimi fattori, di saturazione
della coscienza civile, dell’opinione pubblica,
a fronte dei più vistosi fenomeni di degenerazione del
nostro sistema politico e istituzionale, che hanno in larga
parte determinato la spinta propulsiva verso il nuovo
quadro istituzionale, la cosiddetta seconda repubblica.
Le riforme legislative hanno tuttavia preceduto nel
tempo, seppur di poco la crisi istituzionale. Giunti a
questo punto del passaggio istituzionale, considerando
d’altra parte le difficoltà che l’integrazione europea sta
incontrando sulla sua strada, sarebbe ingenuo e perfino
pericoloso alimentare illusioni ingiustificate. L’Unione
Europea si è fatta: ma appare sempre più chiaro che i
sistemi più forti non accettano di farsi carico di tutti i
processi di ammodernamento e ristrutturazione che
l’integrazione comporta.
Ognuno dei partner dovrà autonomamente portarsi al
livello richiesto dal processo di abbattimento delle barriere
nazionali, che non è solo apertura dei mercati, né
solo finanziaria, ma delle culture, dei moduli organizzativi,
infine delle istituzioni. Se a questo si aggiunge che
gli entusiasmi e gli ardori morali che hanno alimentato
il sommovimento istituzionale sono sostanze volatili se
non sedimentano innovazioni stabili, è chiaro come ci
sia ancora molto cammino da fare.
E’ già di enorme importanza il fatto che un nuovo
quadro normativo esista, che le premesse in termini di
enunciazioni di principio siano state poste. Sappiamo,
però quanto sia complessa, resistente al cambiamento,
la megamacchina amministrativa. Tra il dire e il fare, tra
le norme e la loro pratica attuazione, tra le procedure e i
processi reali, c’è di mezzo la marea dei soggetti che, nei
diversi ruoli, sono i protagonisti. Con le loro culture, con
le loro personalità, con le loro identità, con i loro microprogetti
all’interno del macrosistema.
Di qui l’idea, forse assai banale ma purtroppo non ancora
comune, di aiutare il diffondersi attraverso il sistema
pubblico delle innovazioni positive. Questo dobbiamo
cercare di realizzare noi Lions.
Infatti, uno degli scopi del Lionismo, promuovere i principi
di buon governo e di buona cittadinanza, si concretizza
solo sulla spinta ideale di uomini liberi e consci che non
esistono verità imposte, ma la verità. Tutto questo è
richiamato in altri due scopi del Lionismo: incoraggiare
le persone a migliorare la loro comunità ed a promuovere un
costante elevamento del livello di efficienza e serietà morale
ed ancora stabilire la libera discussione di tutti gli argomenti
di interesse pubblico… Un’associazione come la nostra
deve dare un chiaro contributo allo svilupparsi di un
dialogo da condursi all’interno e con questo, tradotto
in messaggio, corredato da grosse forze motivazionali,
poi suffragato da capacità personali, tendere a dare
una comune univocità alle attuazioni verso la società.
Quindi, un chiaro invito ad operare valutandone la portata
quale strumento che promana sempre da una capacità
di costruire un’opinione con conseguenti possibilità
che questa possa essere diffusa attraverso la meditata
volontà dei club di porsi come elemento mediante nella
società in evoluzione, sia come tali nel loro essere all’interno
di una organizzazione, che come singoli componenti
della stessa: uomini pertanto con preparazione e
responsabilità eclettiche e portatori di un attivo dialogo
nella proposta, nel confronto.
* Articolo pubblicato in rivista LION, novembre 2010, pp.38-39.